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  • Chiesa di San Giovanni in Xenodochio

    L’edificio si affaccia su piazza S. Giovanni.
    La tradizione (comunque confermata da una diploma carolingio del 792) vuole che il duca longobardo Rodoaldo, verso la fine del secolo VII, avesse voluto costruire in questo luogo un ospizio di carità: da ciò il nome Xenodochio.
    Ora l’ospizio non esiste più, mentre c’è ancora testimoniata la chiesa ad esso un tempo annessa.
    Questa venne più volte rifatta; l’attuale versione risale alla metà del secolo XIX ed è opera di un architetto sconosciuto, ma vicino all’udinese Presani.

    La costruzione possiede pianta centrale, con presbiterio rialzato e due cappelle semicircolari laterali.
    La facciata intonacata è definita da quattro pesanti lesene con capitello corinzio che sorreggono un frontone inserito in un corpo rettangolare.
    La copertura del tetto è a padiglione . All’interno, il soffitto, raffigurante san Giovanni Evangelista circondato da quattro dottori, è opera di Palma il Giovane (1581).

    Il soffitto della sagrestia, attribuito a Giovan Battista Canal, risale alla fine del settecento e raffigura Giovanni Battista in gloria con la Vergine.
    La costruzione oggi visibile aveva un portico attiguo al di sotto del quale si radunava la vicinia a trattare i loro affari.

    Durante uno scavo archeologico eseguito nel 1916, nei pressi della chiesa vengono alla luce i resti di una basilica paleocristiana (secoli V-VI) e una necropoli con tombe romane e longobarde.
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  • Chiesa di San Martino

    La piccola chiesa è situata sulla riva sinistra del Natisone, nei pressi del ponte del Diavolo; è arretrata rispetto al limite della strada, sul fondo di un ampio sagrato sollevato che, proseguendo lentamente alla chiesa, conduce al fiume. Il nucleo è già ricordato nel Trecento come centro di una arimannia longobarda, cioè come importante luogo di presidio militare. Nel 1661 sul sagrato vengono rinvenute tombe longobarde molto ricche, in virtù dell’importanza che il luogo sembra aver avuto durante il ducato longobardo. Nel Settecento viene trasportata qui l’ara del duca Ratchis, che rimane nella chiesa di San Martino sino al 1940.

    L’edificio e l’intero complesso subiscono forti rimaneggiamenti nel Seicento e verso la metà del secolo XVIII quei lavori (attribuiti a Domenico e Francesco Schiavi) determinano l’aspetto odierno. La sagrestia, un tempo abbellita da affreschi di Francesco Chiarottini, è arredata con mobili realizzati verso la fine del Settecento da Matteo Deganutti.

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